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D&G in Cina: il caso e riflessioni sul MadeinItaly


La Cina è il primo mercato mondiale.

L'Italia è un Paese dedito all'export.

Alla luce di queste semplici affermazioni, l'accaduto, ormai celebre, relativo al famoso brand D&G pone molti interrogativi.

Non è mia intenzione trattare del caso specifico. Piuttosto la vicenda stimola, a mio parere, riflessioni più generali sul concetto stesso di MadeinItaly in rapporto a mercati come la Cina.

Negli anni il brand in questione, caratterizzato dal suo eclettismo, ha abbondantemente rielaborato in chiave provocatoria immagini stereotipate dell'Italia e degli Italiani tra Speedo e barche ormeggiate nella meravigliosa Capri, ricercando l'equilibrio tra i due fattori che caratterizzano il brand, appunto eclettismo provocatorio e MadeinItaly. Immaginando quindi di dover relazionare tali fattori ad un Paese come la Cina, risultano notevoli gli ostacoli. Le immagini classiche della cultura italiana e degli scorci del Bel Paese, hanno poco appeal in Cina.

In effetti, l'immagine generale che l'Italia dona di sé è ancora ben legata alla Dolce Vita di felliniana memoria. La grande cinematografia italiana del Novecento, di cui perdiamo oggi l'ultimo dei grandi Maestri, è stata il più rilevante megafono dell'Italia nel mondo. Un'Italia ancora cristallizzata nelle scene degli anni '50 e '60, l'Italia che molti turisti si aspettano di trovare. Peccato che in Cina, per note questioni storiche, queste immagini non siano penetrate in tempi e modi paragonabili al resto del mondo. E' forse per questo spiegabile, oltre alle tante altre motivazioni di carattere economico, per quale motivo il MadeinItaly non abbia un posto d'onore in Cina come in altri Paesi del mondo.

Se si accetta questa interpretazione, oltre a comprendere la difficoltà dei due stilisti che li ha spinti in fallo, risulta doveroso porsi un ulteriore interrogativo. E' possibile che l'Italia non sia stata ancora in grado di presentarsi come qualcosa di nuovo e di diverso rispetto al Paese tutto sole, spaghetti e mandolino nel quale Marcello esprimeva la sua joie de vivre?

Piuttosto che sprecare tempo sui social sulla questione D&G, sarebbe forse il caso di scoprire una nuova immagine di imprenditorialità, cultura e turismo, più al passo coi tempi e comunque caratterizzante del nostro Paese? Una nuova italianità da diffondere in maniera coesa, e con orgoglio, sui mercati mondiali, che sia prevalente rispetto a spaghetti, pizza e cannolo?

Forse, in quel momento, con una nuova consapevolezza di noi stessi, saremo anche più in grado di comprendere gli altri, e di avere la decenza, nel caso della Cina, quanto del resto del mondo, di impiegare i numerosi mediatori culturali ed economici ottimamente formati dalle nostre università.

Francesco Di Lieto

CEO

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